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Perché aiutare l’Africa?

Chiunque sia andato in Africa è rimasto commosso nel vedere che molte persone dormono distese per terra su una stuoia o nel vedere le donne che compiono lunghi percorsi per approvvigionarsi di acqua, anche lì dove per trovarla (come nella foresta equatoriale) sarebbe sufficiente scavare un pozzo di una quindicina di metri.

L’istinto sarebbe di fornire letti e scavare pozzi. Ma dovremmo prima domandarci se ciò sia giusto. La costruzione di un letto non è difficile, come nemmeno scavare un pozzo non troppo profondo. Gli africani lo sanno, e se non lo fanno ciò dipende spesso dalla loro cultura. L’africano tende a vivere in equilibrio con la natura e, a differenza nostra, non tende a modificarla. Per questo non ha costruito edifici memorabili come le nostre cattedrali, non ha tracciato strade come gli antichi romani, né costruito dighe o acquedotti.

Questo aspetto della loro civiltà ha dei vantaggi: per esempio non distrugge l’habitat e non conduce il mondo alla rovina per l’eccesso di anidride carbonica o altri veleni. Se oggi il pianeta rischia la catastrofe ecologica, la responsabilità è soprattutto nostra, occidentale. Quindi, alla domanda se dovremmo essere noi a costruire letti, strade e acquedotti, la risposta dovrebbe essere prudente.

Un’altra realtà che incute orrore sono le bidonville che circondano le grandi città, con il loro carico di dolore. Ma se ci pensiamo un attimo dobbiamo concludere che le bidonville le abbiamo portate noi. Nell’Africa subsahariana non esistevano grandi città e quindi non esistevano le bidonville: sono il frutto dell’interazione con il nostro mondo. Anche questo dovrebbe farci riflettere sulla presunta superiorità della civiltà occidentale.

Potremmo concludere che non dobbiamo costruire nulla, ma almeno aiutarli a curare le malattie che li affliggono, come malaria, tubercolosi e AIDS. Sappiamo che la mortalità infantile è molto alta e che l’aspettativa di vita è incomparabilmente più bassa della nostra. Anche qui, però, occorre riflettere. In alcune regioni una donna può arrivare ad avere dieci gravidanze e solo tre o quattro figli raggiungono l’età adulta. Se avessimo la bacchetta magica per debellare d’un colpo tutte le malattie, la conseguenza potrebbe essere un’esplosione demografica senza adeguato lavoro o cibo. Esistono quindi equilibri delicati che non vanno ignorati.

Ma è proprio così? Se l’Africa fosse un sistema chiuso e isolato, forse potremmo lasciarla al suo equilibrio. In realtà l’Africa è da sempre in contatto con altre civiltà, in particolare con la nostra che, a differenza della loro, tende a sopraffare le altre, come accaduto ai nativi americani. Al contatto col nostro mondo l’africano spesso non ha difese adeguate, né culturali né materiali, e questo è fonte di catastrofi.

Per fare un esempio: tutti noi, quando abbiamo un figlio malato, facciamo di tutto per procurarci le medicine. In Africa non è infrequente che un padre preferisca utilizzare i pochi soldi per comprare uno dei nostri oggetti di consumo, come una radio stereo o un telefonino. Questo perché la nostra tecnologia attrae, ma non sempre sono disponibili gli strumenti culturali per gestirla. In conclusione, è giusto aiutare l’Africa. Ma come?

La mia risposta è che, poiché non è un sistema isolato, dobbiamo cercare di aiutarla e che il problema è soprattutto culturale. Dobbiamo aiutare gli africani ad avere gli strumenti per affrontare e risolvere i propri problemi. Questo vuol dire che non dobbiamo debellare le malattie? No: occorre agire su più fronti, per esempio ridurre la mortalità e allo stesso tempo permettere uno sviluppo demografico sostenibile. Quest’ultimo si ottiene solo attraverso la diffusione della cultura.

Credo di aver chiarito che la diffusione della cultura sia, secondo la mia opinione, una condizione irrinunciabile per lo sviluppo dell’Africa. Ma cosa dobbiamo insegnare? Dobbiamo parlare di Aristotele? Delle guerre napoleoniche? Dobbiamo portare la nostra cultura e trasformarli in tanti piccoli lord?

La mia risposta è no. Portare cultura non è così semplice. Distinguerei due aspetti: la cultura tecnologica e quella filosofica e umanistica. La diffusione della prima non comporta problemi etici. Per la seconda, invece, i problemi etici sono fondamentali. Per non trasformare gli africani in occidentali dobbiamo certamente far conoscere la nostra cultura, ma lo scopo deve essere aiutarli a sviluppare la loro. Questo, secondo me, è l’aspetto più difficile e va affrontato con estrema cautela.